Arte e storia
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Il giardino

La storia in breve

La Villa Bonacchi con il parco romantico circostante, disseminato di “memorie” (edifici, monumenti, colonne, epigrafi), rappresenta la parte più intatta e cospicua, sopravvissuta allo smembramento dell’antico Giardino Puccini.

Tale Giardino fu iniziato da Maddalena Brunozzi (1782-1836) e da Domenico Puccini nel 1822 e fu proseguito e completato da Niccolò Puccini (1799-1852, figlio di Maddalena e fratello di Domenico) nel corso di un trentennio, fino a raggiungere l’estensione ragguardevole di 123 ettari, da Porta al Borgo alle propaggini dell’Appennino tosco-emiliano.

Creato nel 1822 da Maddalena Brunozzi e Domenico Puccini, il giardino fu ampliato da Niccolò Puccini.

Il progetto dell’antico parco romantico voluto da Niccolò rifletteva le suggestioni dei giardini all’inglese ammirati dal nobiluomo pistoiese, patriota, filantropo e mecenate, durante i viaggi in Italia e in Europa.

Negli anni Quaranta dell’Ottocento il complesso poteva dirsi definito negli spazi naturali, arricchiti di contenuti ideali e pedagogici grazie alle “fabbriche pittoresche”, ispirate per le potenzialità spirituali e patriottiche alla rinascita gotica che dall’Inghilterra di Pugin e Barry alla Germania di Schinkel aveva raggiunto in Italia l’avanguardia artistica più irrequieta.

Si riconoscono anche tre percorsi nel Giardino: artistico, patriottico e scientifico, i cui punti di riferimento sono segnati da monumenti, cippi, statue e colonne.

Il parco riflette l'amore di Niccolò Puccini per i giardini all'inglese, ispirato dai suoi viaggi europei.

Egli voleva diffondere la cultura nella propria città, Pistoia.

Sono sopravvissuti alle lacerazioni del tempo e all’incuria dell’uomo, indotta dalle contingenze storico-patrimoniali subite dal complesso, la colonna dedicata a Gutenberg, quelle “gemelle” già sormontate dai busti di Raffaello e di Canova, il monumento a Carlo Linneo, l’emiciclo di Galileo (un tempo completato dalle statue di Torricelli e di Viviani), il monumento a Michelangelo Buonarroti (posto ora all’interno del Pantheon), il monumento a Dante Alighieri, alla Commedia (in origine collocato tra i due laghi sul luogo dell’attuale colonna), a Francesco Ferrucci, all’Industria, all’Amicizia, il Piazzale delle Belle Arti, il Tempietto che conteneva il busto di Tommaso Puccini, la Madonna delle Vigne, la colonna spezzata (proveniente da un altro monumento, posta ora sul basamento originario della Commedia).

Niccolò Puccini

Nell’accezione romantica il parco era il risultato dell’opera della natura (colline, rocce, caverne, cascate, ampio uso di masse arboree di alto fusto e di arbusti esotici dai colori stagionali variabili) e di intenti educativi e didattici.

A divulgarli concorrevano i padiglioni architettonici selezionati in base alla capacità di esprimere il legame con la natura (le fabbriche neogotiche, le capanne rustiche o case di tronchi affidate alla resa mimetica della pittura, come la casa del lavoratore annessa al Romitorio, o il Caffè rustico inserito nell’ala sud-est del Castello), lo “scopo civile” (il Castello di gusto “trobadorico” che troneggia a specchio del lago con i merli ghibellini, torre e torrette di scolta, ponte levatoio, stemmi dei Comuni, a ricordare “l’idea dei fortilizi che le repubbliche italiane innalzavano a salvare il territorio dalle invasioni nemiche”), o la vittoria del tempo (i ruderi).

Infine, si cercava di stimolare la meditazione malinconica (il calvario), di impostare un traguardo ottico a cui tendere (la torre), di dilatare lo spazio con la rifrazione delle aree circostanti (il lago con l’isola).

La fortezza

La grandezza del decennio epico

Il “fabbricato pittoresco”, fatto erigere da Niccolò Puccini su una preesistente impostazione colonica, in mancanza di documenti certi, è datato intorno agli anni trenta dell’Ottocento sulla base di riferimenti epistolari e di contingenze storiche e culturali.

Nel decennio “epico” (1820-1830), caro a Stendhal per “l’italico ardore”, le velleità reazionarie e filoaustriache nella Toscana granducale della Restaurazione furono controbilanciate dalla politica moderata e autonomista dei ministri Vittorio Fossombroni e Neri Corsini.

Nel frattempo si veniva delineando la formazione di tendenze liberali e democratiche. Le prime avrebbero predominato a Firenze intorno al “circolo” di Vieusseux e all’“Antologia”, che è un esempio di cultura nuova “filosofica e tecnica” aperta al commercio con la letteratura italiana ed europea più progredita, a cui non sarebbe rimasto estraneo Niccolò Puccini.

Le esigenze democratiche avrebbero, invece, prevalso a Livorno con Bini, Guerrazzi, 1’”Indicatore livornese” e presso gli studenti dell’Università di Pisa grazie all’insegnamento di Centofanti e al proselitismo di Montanelli, creando la saldatura con il movimento mazziniano della Giovine Italia, nonché con il socialismo utopico e riformista.

L’interno della Fortezza

Per Puccini, rimasto unico erede di un ingente patrimonio – dopo la morte nel 1824 del fratello Domenico – e della tradizione familiare di cultura e di mecenatismo artistico (basti pensare allo zio Tommaso Puccini dalla fine del Settecento direttore della “Real Galleria” fiorentina), il decennio coincise con il periodo di maggiore distacco dal potere granducale e con il completamento della propria formazione.

A tale scopo furono determinanti il viaggio “ortisiano” in Italia che lo mise in contatto con Pietro Giordani e il tour europeo del 1826, soprattutto per gli influssi ideologici e figurativi riportati dall’esperienza inglese.

In Inghilterra Puccini rimase attratto da una civiltà assunta a garanzia di ordine illuminato e di giustizia, mentre subiva il fascino dell’arte dei giardini inglesi.

Fu inoltre importante, per le tendenze liberali, la frequentazione fiorentina di Giovan Battista Niccolini e del “circolo” di Vieusseux durante i mesi invernali.

Nel trattempo, infine, il Puccini instaurava un’amicizia con Francesco Domenico Guerrazzi – personaggio di tendenze democratiche – insieme a una collaborazione culturale e artistica testimoniata da un epistolario importante.

L’esterno della Fortezza

Ad abilitare la realizzazione pucciniana del Parco romantico di Scornio come “crogiuolo della cultura nazionale del Risorgimento” (Sisi), oltre alle simpatie giovanili per l’Indipendenza americana e la lotta del popolo greco contro la dominazione turca, interveniva l’opera di organizzatore della cultura pistoiese intorno al gruppo di amici e collaboratori del “circolo di Scornio” soprattutto con la creazione della Società degli Onori Parentali ai Grandi Italiani.

L’intento celebrativo pubblico dei grandi letterati, artisti e scienziati italiani consisteva nel “confortare la stanca virtù dei presenti, ricordando loro il felice ardimento dei passati”.

I magici interni ricchi di dettagli della fortezza

Di questo stesso intento civile e patriottico fa parte la realizzazione del Castello gotico o Fortezza al lago. Alle nostalgie illuministiche degli edifici neoclassici (il Tempio di Pitagora, il Pantheon) succedevano le “fabbriche pittoresche” del Castello gotico e del Romitorio, ispirate al revival medievale europeo (dagli inglesi Walter Scott, Walpole, Barry, Pugin, al tedesco Schinckel) o alla disfida cinquecentesca tra italiani e stranieri del romanzo di Massimo d’Azeglio (Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta, 1833) e all’ultima difesa della libertà del popolo fiorentino nell’Assedio di Firenze, pubblicato da Guerrazzi nel ’36.

Stanno a testimoniarlo i busti di due eroi antimedicei, Pier Capponi e Filippo Strozzi, che fanno bella mostra di sé nelle nicchie frontali dell’ingresso neogotico nella “Fortezza”. Senza dubbio, nella galleria di magnati, affrescata da Ferdinando Marini e da Bartolomeo Valiani nell’ingresso e nel foyer neogotici del “Castello”, sono presenti i suggerimenti laico-ghibellini di Giovati Battista Niccolini, autore delle mitografie tragiche dell’ Arnaldo e di Francesco Domenico Guerrazzi, per non parlare dell’assunzione, fatta propria, della lezione di Alfieri, Foscolo e delle Canzoni civili di Leopardi.

Interni della Fortezza

Non a caso, nella galleria gotica dei Castruccio, Uguccione, Farinata, Carmagnola, Giovanni delle Bande Nere, Pier Capponi e Filippo Strozzi, ai personaggi emblematici del Rinascimento spettava il compito di suggerire l’opposizione alla tirannide. Allo stesso modo, nel monumento a Francesco Ferrucci eretto nelle vicinanze del castello, in parallelo con l’intento simbolico del romanzo di Guerrazzi, veniva esaltata la libertà del popolo fiorentino durante il breve spazio repubblicano, tutelata da Savonarola e difesa da un pugno di eroi.

Del resto, la conferma, che la “bizzarra e ad un tempo moderna fabbrichetta […] abbellita dal carattere dell’ornamento che è ad imitazione del Gotico così detto feudale” (Perizia estimativa del possedimento di Scornio,1859), offra tuttora “i gusti di diversi secoli di ferocia e di valore, di guerre e di libertà, di amore e di energia” si ricava non solo dalla lettera di Luigi Leoni del 1830, ma dalla stessa struttura turrita e merlata alla ghibellina, cosparsa di stemmi dei liberi comuni e affocata dal colore rosso dominante anche nelle decorazioni trecentesche degli interni neogotici, in un contrasto figurativo con gli stucchi candidi del “bagno pompeiano” e della neoclassica “sala bianca”.

Se poi al mondo astratto, ideale, di un tempo che fu, si aggiunge quello concreto dei boschi che regalano una fugace festa cromatica culminante nell’estate di “San Martino”, è evidente che ci troviamo di fronte a un altro luogo unico da valorizzare e far conoscere di questa Italia, uno dei Paesi più belli del mondo che Puccini intendeva far rivivere, almeno in forma di miti e di storie esemplari, in uno dei periodi bui della nostra vicenda nazionale.

Il Pantheon

Simbolo di eleganza romantica

Non sembra azzardato far risalire i primi contatti tra Niccolò Puccini e Alessandro Gherardesca al 1825, forse mediati dall’ambiente livornese, dove l’architetto-ingegnere pisano era noto come depositario di una cultura architettonica aggiornata.

Più difficile è risalire alle ragioni del coinvolgimento di un esponente del registro “alternativo” medievalista, già sperimentato nei “completamenti di stile” pisani.

Si può supporre che all’inizio non fosse estranea nel committente l’esigenza di saggiare un messaggio architettonico che non si limitasse a una semplice “questione di stile”, per aprirsi alla lezione della Storia, all’affermarsi di una “ragione civile”.

Il paradosso doveva consistere in una marcata coincidenza di tempo tra progetto e scelte del proprietario, che bocciò la “facciata postica” in stile gotico e optò per una soluzione “attica”, omogenea alla mutata funzione dell’edificio (da “scuola di mutuo insegnamento” a “Pantheon degli uomini illustri”).

Le suggestioni medievali avrebbero agito sui rifacimenti del castello e del tempio gotico, ma in assenza di Gherardesca.

Nel 1825, Niccolò Puccini si mise in contatto con Alessandro Gherardesca, noto per la sua cultura architettonica aggiornata.

Un dato di fatto, comunque, è indubitabile: il progetto della “Scuola di Mutuo Insegnamento”, commissionata da Niccolò Puccini, veniva pubblicato da Gherardesca con la caratteristica duplice veste stilistica.

Se la fedeltà ai modelli assoluti e universali del neoclassicismo trovava conferma nelle tavole con il disegno della facciata (tavola a sinistra) e della sezione interna (tavola in baso a destra), il progetto della “facciata postica” si allineava invece ai saggi linguistici, propositivi di valori romantici.

Mentre è stato messo in discussione il ruolo di rottura, in senso ideale e politico, delle scenografie medievaleggianti, si tende a riconoscervi un’adesione relativa alle dimensioni municipali (in questo caso i richiami investivano il gotico pisano, nell’accezione “fiorita” di Santa Maria della Spina).

Il percorso per giungere al Pantheon romantico nazionale, con la soluzione improntata alle tre classi accademiche ottocentesche di protagonisti “degni” della letteratura, delle arti figurative e delle scoperte scientifiche, per la fabbrica di Scornio fu lungo e faticoso.

Puccini voleva esplorare un messaggio architettonico che andasse oltre lo stile, affermando una "ragione civile".

“L’osso più duro sarà quel maledetto fanfarone di Gerardesca, ottimo nel fare progetti ideali, ma poco adatto ai reali: ieri sera discorsi due ore con Digni che la saluta, Mariotti è per la strada, ed io non so cosa risolvere di decisivo intorno la nota scuola, se non che d’aspettare un poco e quindi lasciarlo come Digni, e portarne cosa un altro e fare da me, con il muratore.”

(Dalle lettere di Niccolò Puccini)

Foto storica del Pantheon

Al fine di ripercorrere le vicende nell’evolversi della proposta di Gherardesca da “scuola di mutuo insegnamento” a “Pantheon degli uomini illustri”, secondo un compendio della grandezza del genio italiano, un contributo non indifferente deriva dal corteggio pucciniano.

Proprio le lettere alla madre con le risposte di lei e di Alessandro Gherardesca, oltre a fornire i termini cronologici per affermare la priorità del Pantheon di Scornio rispetto al giardino Roncioni (1831), ristrutturato a Pisa dal medesimo architetto, indicano uno stato di tensione fra l’autonomia del progettista, renitente a sottostare ai controlli, e la volontà del committente di portare delle variazioni al progetto originario.

Il Pantheon terminato rispecchia un classicismo raffinato, con una nuova sensibilità nell'uso di luce e decorazioni.

Una volta terminato, il Pantheon rispondeva ai canoni di un classicismo misurato, capace al tempo stesso di introdurre elementi compositivi che manifestavano una nuova sensibilità nell’uso delle superfici, della luce, dei colori, dell’apparato decorativo. In tal modo, l’edificio, eretto in posizione elevata nella parte più alta del lago (oggi interrata), assumeva “un aspetto ameno e romantico”.

Monumenti

I veri protagonisti del giardino

L’ideologia di fondo che permea le “scene” che compongono il giardino può essere utilizzata come chiave di lettura per cogliere nella sua ricchezza e nella sua originalità il vasto patrimonio architettonico-ambientale creato dal Puccini.

La composizione generale, risultato di un processo di successive realizzazioni di edifici e monumenti che va dai primi del 1821 al 1844, sottolineati da sistemazioni arboree a configurare le diverse “scene”, porta evidente impronta dell’animo e della mente del suo proprietario-autore.

Attraverso la dedica di edifici, la celebrazione con busti e colonne corredate di epigrafi, il Puccini, permeato dello spirito cosmopolita dell’Illuminismo, esalta, celebra i grandi uomini della Storia europea (Gutenberg, Napoleone, ecc.) accanto ai Grandi Italiani (Galileo, Dante, ecc.) come esempi di impegno e di amor patrio proposti all’emulazione dei contemporanei.

Né mancano nel giardino rappresentazioni simboliche tratte dalla ideologia e dai valori della borghesia nascente (l’industria, la sapienza ecc.) e virtù non scevre di lontani echi illuministici (la ragione, l’amicizia, la filosofia).

Questo materiale iconografico non viene d’altra parte utilizzato dal Puccini nella composizione del giardino con intenti esclusivamente celebrativi, ma principalmente con intenti didattici ed educativi; intenti dichiaratamente educativi verso il popolo, in particolare verso i contadini delle sue terre, perché il Puccini crede nel sapere pluridisciplinare, nel progresso, nei fattori di civiltà.

Tra le memorie sopravvissute, monumenti e colonne raccontano un'epoca di rinascita spirituale e culturale.

L’iconografia dei nuovi giardini dell’Ottocento di gusto inglese, alla quale il Giardino Puccini si riallaccia, esprime di per sé il trionfo della contemporaneità della storia, contrapposta al giardino formale settecentesco, rigidamente geometrico, specchio dell’orgogliosa coscienza di un sapere totale, geometricamente dimostrato.

L’itinerario didattico voluto dal Puccini trova quindi in questa nuova concezione del giardino il luogo ad esso appropriato. Nello sviluppo di tale itinerario è, infatti, escluso sin dall’inizio della progettazione, l’impianto prospettico a fuoco fisso del giardino settecentesco (cannocchiali ottici, simmetrie prospettiche, punti di vista rigidamente obbligati).

Gli edifici ed i monumenti si distribuiscono secondo la conformazione dei luoghi e l’invenzione di “scene”, sottolineate da elementi naturali, è tesa a sorprendere e a suggerire la sosta e la riflessione. Architettura e monumenti celebrativi sono presenti anche nella parte agricola vera e propria.

L’inserimento di ampie zone coltivate nel giardino paesistico del XIX secolo, evidenziato anche dalla scomparsa di massicci muri di recinzione, risponde allo scopo di al-largare e dissolvere i confini delle visioni prospettiche del giardino e sottolineare il leit-motif del contrasto fra l’opera dell’uomo e la natura.

Nella composizione del Giardino Puccini la campagna coltivata sembra svolgere, però, una ulteriore funzione, forse ancora più importante delle altre. Essa ha cioè la funzione di portare, accanto ai monumenti del pensiero e dell’ideale la testimonianza della terra intesa come economia, come industria agricola.

I monumenti che la punteggiano non soltanto costituiscono il legame formale con la restante parte del giardino ma, anche, attraverso le funzioni utilitarie ad essi assegnati, esprimono il tangibile “interesse” del proprietario verso l’attività agricola ed i contadini.

Il parco unisce natura e architettura, evocando una riflessione malinconica e un legame profondo con il passato.

La morfologia dell’area che degrada in dolci pendii terrazzati fino all’aprirsi della piana di Pistoia in prossimità della villa di Scornio, permette al Puccini di articolare più fulcri di interesse. Alcuni, che si presentano in successioni di scene al visitatore, si trovano in pianura, in prossimità dei laghi artificiali e della zona di bosco; altri, sui terrazzamenti, ad esaltare le emergenze naturali o a costituire essi stessi, emergenze paesaggistiche visibili da quasi tutti i punti del giardino.

In stretta relazione con le scene del lago artificiale si trovano il Pantheon ed il Castello Gotico. La collocazione di monumenti minori (colonne, emicicli, edicole, busti) risponde anch’essa, nella maggior parte dei casi, ad una qualche regola di relazione con il paesaggio e l’ambiente naturale.

Essi sono, infatti, per lo più localizzati isolati o in gruppi, in corrispondenza di elementi singolari del giardino (radure, punti panoramici, alberi secolari). Così alcuni monumenti significativi quali le statue di Ferruccio e Dante sono collocati in ampie radure erbose, altri quasi immersi nella vegetazione sono però segna-lati da particolari elementi naturali: il busto di Machiavelli, ombreggiato da una maestosa quercia, il monumento dedicato all’amicizia circondato da un gruppo di allori.

“Due grandi viali laterali si ricongiungono al medio presso alla estremità settentrionale; altri minori in tutte le direzioni e in varia forma agevolano pur essi il modo a considerare le cose più notevole, e a pigliar diletto delle scene che il giardino ad ora ad ora offre allo sguardo”.

Il Pantheon

In origine il Pantheon, collocato su un rilievo, dominava ad un’estremità la scena, mentre il Castello, più in basso, si collocava in diretta relazione visuale con le acque del lago. L’effetto scenico era completato da un’isola con le rovine di un tempio dedicato a Pitagora. Attualmente queste relazioni visive sono alterate da cortine arboree fra il lago e i monumenti.

La Fortezza, il Tempio Gotico, che nella iconografia del giardino romantico esprime il rimpianto e la malinconia, era collocato secondo i canoni in prossimità di un antico bosco di castagni (oggi scomparso) ai confini del parco verso un panorama di campi aperti.

Analogamente dedicato alla dolce malinconia e alla contemplazione era il Romitorio, anch’esso, secondo le regole compositive, collocato in posizione isolata, a confine con la campagna coltivata, lungo il pendio del colle.

La Fortezza

Significati visivi leggibili a maggiore scala, assume il Ponte e Teatro di Napoleone che sorge sopra la gora che alimenta i due laghi e che era, nell’intento del Puccini, destinato «a passare in piano» la valle di S. Anna.

Questo vasto fabbricato, che costituisce indubbiamente una forte connotazione del paesaggio rappresenta infatti anche il fulcro visivo di collegamento degli elementi più significativi che caratterizzano il panorama sullo sfondo del giardino: l’antica Villa di Bellosguardo, cui il Puccini associò tre imponenti colonne e parti di trabeazione a rappresentare le rovine di un tempio greco, e sullo sfondo, isolata ed inaccessibile, la Torre di Catilina.

Quest’ultimo monumento, singolare osservatorio posto in una macchia di bosco, si erge nel punto più alto e domina tutta l’area del giardino, visibile da quasi tutti i luoghi aperti.

La Madonna delle vigne

Dal Ponte e Teatro di Napoleone fino alla Val di Brana si sviluppa la «bella campagna» dove si svolgeva annualmente “la Festa delle Spighe” istituita dal Puccini a celebrazione e supporto dell’attività agricola.

Mentre il Teatro di Napoleone costituiva luogo di raccolta e di ristoro dei partecipanti, le cerimonie religiose della Festa si svolgevano nella cappella del Romitorio poco distante dal Ponte, in prossimità dell’edicola della Madonna delle Vigne ormai in piena campagna, al centro delle coltivazioni su una collinetta artificiale da cui si gode la vista della val di Brana.

Monumento a Francesco Ferrucci

La statua di Francesco sorge nel prato antistante il Castello gotico. Fu commissionata dal Puccini a Luigi Zini attorno al 1835, il quale curò di pitturarla in grigio metallico per rendere l’illusione della corazza che vestiva l’eroe.

Monumento all’Industria

Emiclo di Galileo

Ciò che oggi resta del monumento originario è solo la porzione centrale, la nicchia semicircolare contenente la statua ormai acefala del matematico. Mancano quasi completamente le ampie ali murarie che delineavano con la loro leggera curvatura una sorta di ampio spiazzo per concludersi con due statue su basamento opera di Luigi Zini e dedicate al Torricelli l’una, al Viviani l’altra.

Alcuni gradini portano all’interno della nicchia. Scomparsi completamente gli intonaci dai muri perimetrali, anche la semicupola mostra scarse tracce della originale decorazione a cassetti murari.

Una catena posta in epoca non nota ha contribuito in modo determinante alla tenuta della copertura di questa curiosa costruzione che mantiene ancora in buono stato le due colonne doriche poste ai lati dell’ingresso. Assai corrosa e, come detto, priva di testa, e delle mani, la statua di Galileo, interamente in terracotta.

L’emiciclo è l’unico dei monumenti del parco ad essere ancora visibile nell’amplissimo spazio erboso che sta fra il complesso di Ponte Napoleone a nord, quello del Pantheon e del Castello a sud e il Romitorio a est. Tutti gli altri sono in grandissima parte scomparsi.

Monumento a Dante Alighieri

Fu commissionato nel 1825 a iovanni Merlini. Sorge di fronte al Pantheon e raffigura il poeta che tiene nella destra alzata la Commedia, oggi scomparsa con parte dell’avambraccio. Si tratta del monumento più grande ancora visibile nel Giardino. È scomparsa anche l’epigrafe dettata da Pietro Giordani.

Piazzale delle Belle Arti

Si tratta di un ampio spiazzo circolare in cui termina il lungo viale alberato che un tempo proveniva direttamente dal “giardino de’ fiori” della Villa.

Il piazzale è circondato da otto brevi colonne in pietra, sormontate ciascuna da orci e pigne in terracotta, decorati con tralci, rettili ed altri motivi fitomorfi.

Non resta che traccia del muro sagomato portante le statue dell’architettura, pittura e scultura, ed una lapide che ricordava il platano piantato da Puccini a celebrare il terzo decennio del XIX secolo.

Romitorio

Era uno dei fulcri del Giardino, costruito come sepoltura di famiglia, aperta anche ai più meritevoli cittadini della zona. Il tempietto ospitava inoltre la tomba della madre del Puccini ed in seguito la sepoltura del Puccini medesimo.

La chiesa possiede due cappelle laterali, progettate a guisa di piccoli battisteri su pianta poligonale coperta a cupola, attaccate all’edificio maggiore e come questo decorate in origine a bande orizzontali bianche e nere.

All’interno era ornata con dipinti, cantoria, lignea, altari oggi scomparsi, in gran parte opera di Giovanni Gianni, al quale si deve ascrivere anche il loggiato gotico che agli inizi degli anni ’40 fu posto davanti all’ingresso della chiesa, allorché il Romitorio, fra il 1842 e il 1846, divenne uno dei luoghi più deputati allo svolgimento della Festa delle Spighe.

In tale occasione il complesso era sede di tutte le cerimonie liturgiche, delle messe e delle benedizioni di spighe ed armenti, di cori, di processioni, di sermoni. Il Romitorio era certamente il più degradato dei monumenti voluti dal Puccini ma è in corso il suo restauro.

Privato della originaria funzione di luogo di culto e non sostituito con alcuna altra mansione, l’edificio è rimasto per decenni nel completo abbandono.

Il loggiato ha perduto interamente la copertura e lo stesso stava accadendo al corpo della Chiesa, sebbene il tetto fosse stato protetto successivamente da lastre in lamiera. In migliori condizioni le due cappelle laterali, la copertura delle quali è ancora integra.

La porzione di edificio che serviva da sacrestia e che sta ortogonale alla chiesetta mantiene la volumetria antica e le stesse decorazioni visibili nelle incisioni ottocentesche.

Di fronte alla chiesa è ancora visibile ciò che rimane del cosiddetto Calvario, un semplice tumulo di pietre grezze frammiste alla vegetazione su cui sta infissa una rozza croce lignea. In origine il monumento era completato da un cippo e da una figura inginocchiata in terracotta. Oggi è in corso il restauro del Romitorio.

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